Come sei arrivato ai Guelfi? Raccontaci un pò la tua carriera, le tue esperienze nel mondo del football
Io ho iniziato a giocare nel 1990, quando avevo 16 anni e poco più, un bel pò di tempo fa. Ai tempi giocavo a calcio, però mi ero un pò stufato dell’ambiente in generale e grazie alla più vecchia forma di recruiting esistente, il volantinaggio, mi sono avvicinato al mondo del football. Insieme ad un vecchio amico, Duccio Bandini, trovammo questo volantino e decidemmo di provare a giocare con quelli che allora erano la squadra più importante di Firenze, gli Apaches. Ai tempi non c’era il settore giovanile, pur essendoci ben due squadre a Firenze (l’altra squadra erano i Renegades), e quindi inizammo a giocare subito con la prima squadra, in A2. Il primo anno andò abbastanza bene e vincemmo il campionato, ottenendo la promozione, e quindi mi ritrovai dopo appena un anno a giocare al massimo livello possibile; dopo un anno a Bologna con le giovanili tornai a Firenze sempre con gli Apaches in tempo per giocare il campionato A1, e dopo un’esperienza nell’Arena Football la società purtroppo fallì.
Con il fallimento degli Apaches per un anno fondammo i primi Guelfi, che però a causa della disorganizzazione generale fallirono miseramente e quindi tutti noi iniziammo a giocare un pò a giro per la Toscana e dintorni. Io personalmente giocai un paio di anni con i Renegades a Firenze, subito dopo andai per studio in Francia e mi ritrovai a giocare nella seconda divisione francese dove però il livello era nettamente inferiore al nostro; tornato in Italia ho giocato per un paio di anni a Grosseto ed un anno a Bologna con la Virtus (da cui sono rinati poi i Warriors Bologna, attualmente in prima divisione ndr) fino ad arrivare al 2000, Gennaio 2000, in cui decidemmo di fondare i Guelfi. 

Ecco, parlando dei Guelfi, tu che sei uno dei fondatori della società, puoi dirci com’è nata la società? Cosa vi ha portato a decidere di provare nuovamente a creare una società dopo il fallimento dei primi Guelfi?
Si esatto io sono uno dei soci fondatori dei Guelfi insieme a Dallai, Martelli, Boscalieri e Sergio Bledig; a Firenze era rimasto uno zoccolo duro di una decina di giocatori che pur non essendoci squadre nei dintorni continuava a giocare a football nelle squadre più vicine ed al terzo anno di viaggi continui per andare ad allenarci, dopo essersi allenati anche alle Cascine del Riccio, un posto infimo dove ci cambiavamo direttamente nei bagni, con le corse ogni volta per arrivare in tempo all’allenamento, con la sola passione per il football a farci allenare decidemmo di fondare i Guelfi a costo di ripartire dal livello più basso, pur di riportare il football a Firenze. La fondazione arrivò veramente grazie ad una colletta e l’atto di nascita della società fu firmato mentre tornavamo da un allenamento a Bologna, su un tavolino dell’autogrill di Cantagallo. Da lì è stato un continuo crescendo, e già il primo anno, organizzati alla meglio e con poca esperienza di gestione societaria, arrivammo alla finale del campionato, poi persa contro i Kings Gallarate; da lì in poi abbiamo sempre più alzato l’asticella, con la vittoria di campionati, l’arrivo in prima divisione, il primo Italian Bowl ecc…

Quanti anni hai giocato ai Guelfi?
Io non ho giocato due campionati nella storia dei Guelfi, dato che ho partecipato dalla fondazione fino al 2017, ultima mia stagione; ero tornato da un infortunio dell’anno precedente e già alla prima partita rimediai una bella concussion ad Ancona. Finita la stagione decisi di smettere perché enough is enough: sia a livello di fisico, perché comunque continuando ad allenarmi avrei potuto continuare a giocare, ma i tempi di recupero non sono gli stessi di quando sei più giovane e soprattutto a livello mentale: un giocatore di football deve essere un giocatore di football sempre, la mattina quando si alza, quando mangia, quando si allena e quando va a dormire, e quindi decisi che era giunto il momento di appendere armatura e casco al chiodo.

Come Gheo però non sei riuscito veramente ad abbandonare il football, ed infatti dall’anno scorso fai parte del coaching staff dei Guelfi; cosa ha fatto “Manna” dopo aver lasciato il football giocato?
Allora sono comunque rimasto nella dirigenza, dove sono sempre stato dalla fondazione, e poi ho fatto da commentatore per la Fidaf per le partite dai Guelfi. Dopo due anni però non riuscivo più a stare lontano dal campo e quindi mi sono reinventato WR coach.

Ecco, cosa prova una persona come te, che ha giocato per 27 anni a football, a passare dal campo alla sideline, com’è stata la transizione per te?
Diciamo che per ora non posso comunque dirlo a pieno, a causa della situazione che stiamo vivendo, con il campionato dell’anno scorso che è stato annullato e quello di questa’anno che ancora deve iniziare; sicuramente posso dire che è strano allenare giocatori con cui ho giocato per diversi anni, ma è una sensazione bellissima vedere ragazzi che ti ascoltano, che aspettano tue indicazioni, vedere che il tempo e le risorse che dedichi al tuo studio hanno dei risultati nei giocatori: ho un esempio lampante in Damiano Vitti, WR che ha iniziato a giocare poco prima che io smettessi, e che se a livello fisico era sicuramente pronto, essendo molto atletico pimpante, col football ci azzeccava poco e nulla: dopo un paio di anni di allenamenti, con tutta la forza di volontà e la dedizione che ci ha dedicato vede i risultati, essendo diventato un WR titolare di una squadra di prima divisione che l’anno scorso è arrivata ad una partita dalla vittoria del campionato. Vedere il suo percorso sapere che ci saranno altri ragazzi che lo faranno è sicuramente una soddisfazione pazzesca.

Torniamo un attimo a Mannatrizio giocatore, il tuo più bel ricordo che ti porti dietro?
Ci sono due momenti storici per me, la prima finale che abbiamo giocato nel 2001, al primo campionato dei Guelfi, in cui nonostante la sconfitta io fui nominato MVP della partita, una cosa che non si vede quasi mai nel football, in cui viene quasi sempre premiato il migliore giocatore della squadra vincente; l’altro ricordo impresso è sicuramente la finale giocata all’Artemio Franchi, un ricordo che resterà impresso nella mia memoria, soprattutto perché quella volta vincemmo ed ottenni nuovamente il premio di MVP della partita. L’esperienza dei Guelfi però mi ha soprattutto portato delle amicizie che durano da più di venti anni, e se penso alla festa dell’anno scorso per il ventennale dei Guelfi, in cui si sono rivisti se non tutti gran parte delle facce che hanno “creato” i Guelfi e li hanno fatti grandi in questi venti anni, mi si riempie il cuore di gioia; io ed i soci fondatori in quel momento abbiamo realizzato di essere riusciti a creare veramente una famiglia: siamo passati da allenarci alle Cascine del Riccio ad arrivare in prima divisione ad avere una struttura come il Guelfi Sport Center, fiore all’occhiello della società ed uno egli impianti più belli di tutta Italia, ad avere una società sportiva riconosciuta in Italia e che nel corso del tempo è arrivata a togliersi qualche bella soddisfazione.

Parlando di giocatori invece, chi è il giocatore più forte con cui hai giocato? 
Partiamo dal presupposto che credo di aver giocato in dodici/tredici squadre diverse nel corso della mia carriera: ho giocato con molte squadre in Italia, ho giocato all’estero, ho giocato in nazionale e quindi direi che mi sono ritrovato a giocare con molti giocatori veramente forti quindi faccio fatica a dirtene solo uno; ti posso dire però che c’è stato un giocatore che mi ha insegnato molto e che ogni volta quando lo vedevo giocare pensavo di voler arrivare a giocare come lui, al suo livello: Matteo Soresini, WR che ha giocato a Bergamo e che era titolare in nazionale quando giocammo il mondiale; ero la sua riserva a quel mondiale e mi resi veramente conto che era il mio giocatore di riferimento, un giocatore veramente con i fiocchi e che ho veramente ammirato.

Sei stato uno dei primi Guelfi ad avere un’esperienza all’estero e soprattutto hai giocato in nazionale? Cosa voleva dire in quel tempo essere un giocatore italiano che si affacciava al football europeo e mondiale?
Per quanto riguarda l’esperienza in Francia ti posso dire che il livello era nettamente inferiore rispetto a quello a cui ero abituato, anche perché giocavo comunque in seconda divisione, tanto che l’esperienza durò relativamente poco.Per quanto riguarda la nazionale invece io ero in quel giro in un momento in cui il movimento era in netto calo, cosa che invece ultimamente è cambiata, con una nazionale che sta mettendo le basi per infuturo più roseo; mi ricordo però il mondiale, dove giocammo ad esempio contro il Messico, e lì la differenza si notava eccome: loro erano nettamente ad un altro livello rispetto a noi, eravamo non molto organizzati e francamente ad esclusione di alcune compagini la differenza era abissale. A partire dal 2005 in poi invece il movimento football italiano ha avuto un crescendo, pur non essendo ancora al livello top degli altri campionati europei.

Gianluca Mannatrizio ed Alessandro “ENTE” Dallai con la maglia della nazionale italiana

Parlando da allenatore, chi è che può essere il futuro dei Guelfi?
Se devo guardare dalle giovanili alla prima squadra ti posso fare tre nomi di giocatori che sono veramente promettenti, e non solo per i Guelfi, ma per tutto il football italiano: Andrea Poglietelli, Cosimo Casati e Andrea Costanzi; son tre ragazzi che se si allenano bene, seguono le indicazioni dei loro coach, potranno sicuramente fare il futuro dei Guelfi ed anche della nazionale italiana, soprattutto considerando che il più grande di loro, Poglietelli, ha solo 20 anni e gli altri due sono da poco maggiorenni; hanno sicuramente un’altra preparazione rispetto a quando eravamo più giovani noi, ed hanno già 4/5 anni di esperienza nel football.

Se dovessi scegliere un solo giocatore, fra tutti quelli con cui hai giocato, da prendere ai Guelfi per fare il definitivo upgrade?
Rispondo come ha risposto Gheo: farei carte false per riportare Benoni in campo; ha smesso troppo presto, pur capendo benissimo la sua decisione, però ogni volta che ci ripenso penso che sia un peccato che un talento come il suo non si è mai potuto esprimere in una formazione come quella che abbiamo adesso e con un’organizzazione come quella che abbiamo raggiunto.

Forza Guelfi!